La storia

Le prime informazioni che ci giungono su Ceneda risalgono all’epoca romana quando, vista la sua posizione geografica strategica, rappresentava un importante presidio militare. Vi sono alcune fonti che sostengono che già in quell’epoca la foresta del Cansiglio dipendesse dall’attuale Oderzo.

Altre testimonianze indirettamente riferiscono di Ceneda quando Pietro, capo della chiesa, trasferitosi da Antiochia a Roma, nominò vescovi Prosdocimo a Padova ed Ermagora ad Aquileia le due principali città della regione. I due erano impegnati ad evangelizzare i territori delle Venezie e dell’Istria e a Ceneda, Ermagora convertiva gli abitanti nella chiesa di San Pietro.

Viste le scorrerie dei Norici, gli abitanti dell’attuale Austria centrale, che attraverso i passi delle Dolomiti calavano minacciosi, fu necessario fortificare adeguatamente Ceneda anche a tutela della pianura e di Opitergium. Ceneda all’epoca doveva avere tre porte d’accesso: quella sulla val Feltrina ed il San Boldo, quella sulla val Lapisina e quella verso Oderzo ed il mare e queste costituivano punti deboli in caso di attacco.

Altre notizie in cui si cita Ceneda sono riferite al passaggio di Marco Aurelio nel 171 d.C. quando riunì i suoi eserciti ad Aquileia e ancora quando ambasciatori di Roma controllarono la città nel III sec. d.C. Diverse tra l’altro sono le monete dell’epoca romana rinvenute nel territorio.

Nel 406 Ataulfo, cognato di Alarico re dei Visigoti, a seguito dell’occupazione dei territori italiani da parte del loro esercito, occupò e depredò Feltre, Belluno e Ceneda lasciandovi anche un ampio presidio militare.

Nella primavera del 452 il conte Marcello, al servizio di Teodosio, conquista Ceneda per poi ritirarsi verso il mare. Poco più tardi giungerà nella pianura padana Attila, capo degli Unni.

Nell’alto medioevo, dopo le iniziali devastazioni, i popoli barbari, spinti dalla politica dell’impero romano d’oriente e d’occidente, iniziarono a fondersi con le popolazioni locali. Gli equilibri pur nella loro instabilità diedero vita a nuovi ripopolamenti e sviluppo economico.

Nel 568 Ceneda diventa, come altri territori dominati dai Longobardi, un ducato. In seguito, per una serie di faide, che videro coinvolti il Governatore di Oderzo e quelli del Friuli tra il 625 e il 665, Rotari re dei Longobardi per vendetta rase al suolo Oderzo. Come conseguenza Ceneda acquisì un terzo del suo territorio mentre un altro terzo venne concesso al ducato del Friuli e un terzo a Treviso. Ceneda in quell’epoca vantava la giurisdizione sulle terre comprese fra il bellunese, il feltrino, il Piave e il Tagliamento.

Nel 700 non più legata alla chiesa di Oderzo, Ceneda divenne diocesi e Valentiniano ne fu il primo vescovo.

Dopo i Longobardi giunsero nel territorio i Franchi di Carlo Magno che divisero il territorio in gastaldi e sculteri riducendo i ducati. Nell’896 Berengario I, nipote di Ludovico il Pio, duca del Friuli e Re d’Italia andò a Ceneda ed in quell’occasione emanò decreti legislativi e concesse udienza ai vassalli per discutere con loro della vita pubblica locale.

Nell’899 scesero in Italia gli Ungari, secondo alcuni studiosi discendenti degli Unni, seminando terrore e morte con le loro scorrerie e nel 903 Ceneda fu occupata e devastata. Queste azioni proseguirono per circa mezzo secolo. Nel 962 Ceneda venne elevata da sede episcopale a contea vescovile durante il regno di Ottone di Sassonia. Il vescovo Siccardo in quell’anno occupò il Castello di San Martino che rimase proprietà ecclesiastica per i secoli successivi.

A partire dal 1080 il vescovo godeva di quattro diritti: quello politico, quello civile, quello giudiziario e quello amministrativo. Non poteva mandare a morte le persone o indire guerre, poiché queste funzioni erano attribuite ad un ufficio laico che si chiamava avvocato. Questa funzione per i primi tempi venne assolta dai Conti Porcia i quali poterono ricoprire questa carica perché da tempo erano conti.

Nel 1147 venne stipulata un’alleanza tra Ceneda e Treviso che successivamente si ruppe coinvolgendo gli eserciti. Un documento del 1164 attesta che le città di Ceneda, Feltre, Belluno e molte altre erano libere e quindi potevano allearsi liberamente con altre città e non dipendere dal controllo di famiglie o regnanti.

Non vi sono riferimenti scritti riferiti a Serravalle prima del 1169. Per questo motivo alcuni studiosi credono che Serravalle fosse un tutt’uno con Ceneda. Nel 1174 la contessa Sofia di Colfosco morì e nel suo testamento scrisse che lasciava Serravalle al vescovo di Ceneda e Zumelle a quello di Belluno liberando nel contempo dagli impedimenti i vassalli minori.

Nel 1179 Barbarossa fece visita a Ceneda e venne ospitato dai conti Da Collo.

Durante il Basso Medioevo Ceneda e tutta la zona divenne teatro di scontri tra le signorie locali. Nel 1199 Ceneda con il territorio circostante venne sottomessa dai Trevigiani. Nel 1147 i Da Camino si fecero cittadini di Treviso per acquisire maggior potere e prestigio. Nel 1150 Ceneda e la zona circostante venne invasa dai Da Camino perché il conte Ermanno si alleò con Ceneda, Conegliano, Asolo e Valdobbiadene contro Treviso e nella battaglia l’alleanza venne sconfitta.

Nel 1184 il vescovo di Ceneda Sigifredo andò a Monselice per parlare con il Barbarossa per chiedere aiuto e protezione che riuscì ad ottenere. Così facendo Ceneda non dovette sottostare ancora alle decisioni di Conegliano o di Treviso.

Nel 1190 morto Barbarossa i Trevigiani rioccuparono Ceneda ed il vescovo Matteo dovette sottoscrivere la resa. Le tasse da devolvere a Treviso erano molto alte e lo spadroneggiare dei Da Camino su tutti i loro territori mise a dura prova il vescovado. Per riscattarsi Ceneda stipulò un’alleanza fra Conegliano, Feltre, Belluno, Aquileia, Padova e Ceneda contro Treviso che si alleò con Verona, Vicenza e Estensi. Nel 1199 i Trevigiani scesero dal bellunese e dal feltrino riconquistarono Ceneda.

Nel 1210 sarà Ottone IV a sottomettere Ceneda ed il suo territorio, seguito dal 1220 al 1242 da Alberto Da Camino e nel 1243 da Tolberto III assieme a Ezzelino da Romano e ai Conti da Porcia.

Furono anni tetri e problematici per Ceneda vittima delle mire espansionistiche e delle lotte tra Guelfi e Ghibellini.

Nel 1317 Guecello III Da Romano occupò Ceneda ma gli abitanti ribellandosi lo allontanarono dalla città come rappresentato nell’aula civica del palazzo comunale.

Nel 1318 Treviso, minacciato da Cane della Scala, ritirò il presidio militare da Ceneda e Guecellone assalì la città portando distruzione e saccheggi in tutta la Marca. Nel 1319 Treviso cedette Ceneda a Federico d’Asburgo e Guecellone dovette ritirarsi a Feltre.

Nel 1320 il Vescovo Ramponi venne eletto vescovo di Ceneda ma non poté entrare nel castello perché era presidiato dai Trevigani. Decise allora di rifugiarsi prima a Serravalle da Rizzardo VI Da Camino e successivamente a Venezia dai patrizi de Riva.

Nel 1327 Cangrande della Scala occupò Ceneda.

Dieci anni più tardi nel 1337 Ramponi concesse i territori di Ceneda alla Repubblica di Venezia nella speranza (cosa che poi accadrà) di tornare a Ceneda. Ma in città per paura di congiure ed intrighi c’era chi pensava di uccidere il vescovo. Nel 1340 i congiurati vennero inquisiti perché tramavano per occupare il castello di San Martino.

Nel 1354 Carlo IV scese in Italia e ribadì le massime libertà al vescovo di Ceneda come già avevano affermato Berengario, Ottone e Barbarossa.

Nel 1371 vi fu la seconda battaglia fra Venezia e Luigi d’Ungheria che coinvolse anche a Ceneda. Nel 1374 venne proclamata la pace con la vittoria della Serenissima e Ceneda ebbe come nuovo vescovo Oliverio essendo deceduto, poco prima Gualberto De Orgoglio successore del Rangoni.

Nel 1376 attraverso il passo San Boldo scese Leopoldo d’Austria che tramava potere e dominio. Occupò quindi Ceneda e Serravalle con l’aiuto dei Carraresi che più tardi tiranneggiarono i territori.

Nel 1388 i sindaci di Ceneda, Serravalle e Tarzo giurano fedeltà alla Repubblica di Venezia.

Nel 1418 ci fu un nuovo scontro fra gli Ungari e Venezia. Il grosso delle ostilità si compì fra Ceneda e Serravalle. Il prestigio della Serenissima aumentò ma rimase una eredità drammatica alle popolazioni. Ceneda era distrutta, vi erano macerie ed incendi che portarono alla rovina l’intera città come testimoniato nel 1419 dall’allora vescovo Antonio Correr.  Iniziarono le opere per riparare gli edifici più importanti ma le azioni e l’animo degli abitanti erano ormai provati.

Nel 1499 i Turchi fecero diverse scorrerie in tutta la zona, saccheggiando anche San Giacomo di Veglia.

Nel 1508 alcuni principi europei di Austria-Ungheria, Stato della Chiesa, Estensi, Regno delle Due Sicilie, Savoia, Gonzaga, Francia e Spagna si allearono tra loro contro la Repubblica di Venezia. Questa alleanza prese il nome di Lega di Cambrai. Dal 1508 al 1546 i vescovi di Ceneda furono i Grimani.

Nel 1509 l’Imperatore d’Austria Massimiliano mise a ferro e fuoco Serravalle ma non Ceneda perché era un feudo imperiale anche se occupata militarmente.

Nel 1623 Ceneda era in crisi. La situazione migliorò grazie all’intervento del nuovo vescovo Pietro Valier, il quale riuscì ad acquistare grossi quantitativi di grano da Venezia sfamando così la popolazione. Nel 1628-1629 la situazione di povertà e di penuria alimentare si ripresentò rendendo la vita difficile a tutti. La situazione migliorò nel 1630, i raccolti e la terra furono finalmente abbondanti ma nello stesso anno Ceneda si trovò a combattere la peste bubbonica.

Nel 1700 nel territorio si diffondevano le condanne contro gli eretici.

Nel 1768 il Senato veneto stabilì che il potere civile e quello giurisdizionale passassero dal clero alla rappresentanza laica. Al vescovo rimaneva la gestione spirituale.

Nel 1797 Napoleone con il trattato di Campoformido, cedette Venezia e quindi anche Ceneda all’Austria.

Dal 1813 al 1817 il territorio venne colpito da una forte carestia che causò diversi morti mentre nel 1814 l’Austria-Ungheria occupò il Veneto e costituì il Regno Lombardo Veneto.

Nel 1836 ci furono delle forti scosse di terremoto.

Nel 1866 il Veneto entrò nel Regno d’Italia e sempre in quell’anno i podestà di Ceneda e Serravalle chiesero di unire le due città in un unico centro a cui diedero il nuovo nome di Vittorio, in onore del Re d’Italia Vittorio Emanuele II.

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