Il castello di San Martino a Vittorio Veneto a Ceneda è stato nei secoli residenza di Duchi, di Conti e da circa mille anni è sede vescovile.

Le ricerche sugli insediamenti umani nel colle di San Martino e di San Paolo, nella località che oggi conosciamo come Ceneda, secondo alcuni studiosi sono da ricercare in epoca preromana e romana.

Le prime attestazioni di una fortificazione a Ceneda risalgono all’epoca dei Longobardi e dei Franchi. Sono giunte fino a noi infatti testimonianze su due sovrani francesi che soggiornarono nel Castello fra il 554 ed il 900. Il primo caso riferisce del condottiero franco Leutari il quale morì nel castello insieme alla sua guarnigione colpito dalla peste.

Successivamente soggiornò a Ceneda il re d’Italia Lotario I, figlio di Ludovico il Pio.

Nel 1179 giunse a Ceneda, nel palazzo-fortezza dei nobili Da Collo anche l’imperatore Federico Barbarossa. Quest’ultimo non venne accolto al castello vescovile perché in quel momento i rapporti fra l’imperatore ed il papa Anastasio IV (nato Corrado della Suburra) erano tesi, documenti però riferiscono che le spese per il vettovagliamento vennero addossate alla curia vescovile.

Nel corso del tempo, nel Castello di San Martino, vennero eletti diversi vescovi e consacrato un Patriarca di Aquileia.

Nel 1199 i Trevigiani devastarono Ceneda, compresa la cattedrale, il Castello di San Martino e l’interò agglomerato cittadino.

Durante i primi anni del Quattrocento nel Castello di San Martino viveva il Vescovo Pietro Marcello il quale coltivò ottimi rapporti con gli artisti dell’epoca fra i quali lo scrittore umanista Antonio Romagno da Feltre il quale fu ospitato a castello per lungo tempo.

L’artista Antonio Romagno nel 1403 elogiava la residenza e così scriveva al vescovo:

“Da quassù, entro il recinto del tuo Castello di San Martino, vedo saltellare le agili caprette, ed aggirarsi i variopinti pavoni. Allargando poi lo sguardo, ecco vallicelle sparse di viti e di olivi e distese di prati e campi di messi. E qui presso sul declivio del colle, una fonte garrula il cui limpido specchio pare attendere la dea ed il corteggio delle sue ninfe.”

Nel 1410 gli Ungari invasero il territorio portando rovina e distruzione in tutta la zona. Quel paesaggio idilliaco raccontato Da Romagno da Feltre scomparve per sempre e, con l’arrivo dei barbari, venne distrutto anche il castello di San Martino. Vennero saccheggiate palazzi, abitazioni, distrutti i campi coltivati. I danni di quella invasione furono ingenti ed incalcolabili.

Il Vescovo Antonio Correr dovette in seguito riedificare il castello di San Martino con spirito da mecenate, ricostruì la torre ancora visibile ed abbellì la cattedrale inserendo diverse opere d’arte.

Nel 1500 il Vescovo Francesco Brevio ampliò la residenza e costruì la strada che tutt’ora porta dalla Cattedrale al Castello.

Nel 1571 il Vescovo Michele della Torre fece costruire delle torri a sud-est rinforzando le mura per la paura dell’arrivo dei Turchi. Questo problema venne scongiurato anche grazie alla Battaglia di Lepanto dove la flotta cristiana sconfisse quella turca allontanando la minaccia turca dall’Italia.

Due sono i principali restauri che coinvolsero il Castello di Ceneda. Il primo risale al XVI secolo dal Vescovo Marcantonio Mocenigo che lo fece ristrutturare ed abbellire perché era, ormai, decadente ed aveva bisogno di un restauro urgente ed anche conservativo. Il secondo ammodernamento avvenne sul finire del XVII dal Vescovo Agazzi.

Nel 1500, per gli abitanti di Ceneda il castello aveva un ruolo fondamentale specialmente dopo l’apertura del seminario.

Nel corso del Settecento il Castello attirò letterati, esperti delle arti, dei mestieri. Si pensi che Francesco Scipione Conte di Maffei, scrittore veronese nel 1713 lesse nelle sale della fortezza per la prima volta, la tragedia “Merope.” Narra la storia di Polifonte sovrano odiato dal popolo che intende sposare la regina Merope vedova del precedente sovrano Cresfonte, buono e leale nei confronti del popolo. La regina non vuole e farà di tutto perché ciò non accada anche per tutelare il suo regno. È un’opera drammatica in tre atti ed è considerata la miglior opera scritta di quel genere prima di Alfieri.

Nel corso dell’Ottocento, dopo aver promulgato le leggi del luglio 1866 e dell’agosto 1867 i beni ecclesiastici vennero confiscati dal Regno d’Italia, così fu anche per il Castello di Ceneda.

Nella storia vescovile di Ceneda, solo un vescovo non poté soggiornare nel castello: Corradino Maria Cavriani di Mantova. Egli soggiornò nel palazzo dei Conti Zuliani, ora di proprietà della curia.

Il 29 giugno 1873 ci fu una disastrosa scossa di terremoto che causò danni ingenti al Castello. In quell’occasione cadde, quasi interamente, la torre orientale. In seguito vennero sistemate solamente le parti strettamente necessarie.

Il 3 ottobre 1881 il governo decise di restituire il castello al clero perché non era ancora riuscito a trovare un acquirente per quel bene.

Il Vescovo Sigismondo Brandolini-Rota restaurò radicalmente il Castello e acquistò i terreni circostanti. Durante il suo governo Brandolini ospitò anche il patriarca di Venezia futuro Papa Pio X Giuseppe Santo ed il fondatore della Congregazione dei Giuseppini di Torino Leonardo Murialdo.

Negli anni vennero realizzati alcuni lavori di ristrutturazione nel 1914 ed altri dopo il terremoto del 1936.

Negli anni Sessanta del Novecento il castello ospitò Albino Luciani il futuro Giovanni Paolo I.

È sempre visitabile.