Piccoli gruppi di Ebrei durante i viaggi da Oriente ed Occidente si insediarono a Venezia dove collocarono i propri magazzini. Questo accadde intorno al 1100 perché la città lagunare deteneva il monopolio del traffico fra queste aree. Con il tempo formarono un gruppo ampio e sedentario e vennero collocati nell’isola di Sinalunga, l’odierna Giudecca che prese questo nome per la loro presenza.

Il commercio verso l’oriente realizzato dagli Ebrei fu di vitale importanza per la Repubblica di Venezia. Per questo motivo, si svilupparono in laguna e non solo alcuni contrasti tra i Cristiani e gli Ebrei. I primi erano divisi in confraternite che commercializzavano prodotti o realizzavano lavori artigianali. I secondi erano dediti a prestare denaro. Quest’ultimo mestiere i Cristiani non potevano svolgerlo per regole interne alle loro corporazioni e confessioni. All’epoca si svilupparono i primi Banchi di credito, i futuri monti di pietà, nel 1294 a Treviso, nel 1369 a Padova e poi negli altri comuni del padovano e trevigiano come Cittadella, Monselice, Este, Conegliano. I banchi si trasformarono in monti di pietà e vennero promossi da Bernardino da Feltre durante la fine del 1400. Nel XV secolo la Marca Trevigiana era in crisi economica ed allora i potenti del luogo chiesero aiuto agli Ebrei.

Tutta l’economia era basata sul sistema creditizio e gli interessi rappresentavano l’utile. Le operazioni più rischiose e impopolari erano a panaggio esclusivo degli Ebrei. Questi ultimi prestavano il denaro sui pegni, con l’interesse stabilito per legge. Capitò che lo stesso governo della Serenissima sollecitasse gli Ebrei al fine di agevolare determinate transazioni, per incrementare il giro d’affari di alcuni settori economici in crisi.  Tutto questo giro di denaro aumentò il malcontento verso gli Ebrei. Si credeva che le loro operazioni economiche non fossero trasparenti e che lucrassero sugli interessi dei loro crediti. Vi era comunque una supervisione delle loro attività da parte della Serenissima sia in laguna che in terraferma.

Storia degli Ebrei a Vittorio Veneto

Tra la fine del Trecento e l’inizio del Quattrocento, gli Ebrei cominciarono a operare a Ceneda ed a Serravalle.

Nel 1398 venne stipulato il primo contratto, denominato condotta, fra una famiglia ebrea di prestatori di denaro e la Comunità di Serravalle.

A metà Quattrocento, i rapporti fra Ebrei e abitanti della città si inasprì anche a seguito dell’emanazione di leggi e regolamenti che limitavano, controllavano la libertà delle due comunità quella cristiana e quella ebraica.

Si pensi che il podestà di Serravalle impose che gli Ebrei andassero in giro per la città con la lettera O gialla ben visibile sui loro vestiti affinché fossero ben identificabili.

Oltre alle attività di prestito, a Serravalle, gli Ebrei potevano commercializzare panni di lana, cereali, vestiti, animali ma non potevano frequentare i mercati.

Vi era una sola famiglia ebrea quella che prestava denaro e possedeva alcune stanze al piano terra di fronte alla chiesa Santa Maria Nova, l’altra in una parte del palazzo Sarcinelli.

Gli Ebrei di Serravalle e Ceneda non potevano avere una sinagoga perché non vi era il numero minimo di religiosi stabilito dalla Legge Mosaica cioè dieci maschi adulti.

Verso il 1520, comparvero a Serravalle delle scritte ingiuriose contro gli Ebrei ma questo non pregiudicò la loro permanenza in città.

Nel 1541 venne aperto il Monte di Pietà a Serravalle che si trovava in piazza Flaminio. Questo ente venne creato in chiave anti ebraica e distogliere alcuni clienti dal banco al Monte ma questo non sortì gli effetti sperati.

Il banco di pietà venne chiuso nel 1571 per scadenza della condotta. Quest’ultima obbligò gli Ebrei a trasferirsi da Serravalle a Cison di Valmarino e nelle altre località vicine perché non potevano più abitare in città.

Nel 1597 il Vescovo Marcantonio Mocenigo, svincolato dai pregiudizi e dalle varie calunnie che si sentivano dal popolo, decise di favorire l’insediamento di alcuni facoltosi Ebrei da Conegliano e Treviso a Ceneda, perché aiutassero la città a risollevarsi dalla crisi che stava vivendo. Grazie a questa introduzione di denaro nell’economia locale, si acquistarono ottimi cereali, creando le condizioni per risolvere la crisi e senza problemi nei pagamenti. Vennero coinvolte in questa agevolazione diversi comuni come quelli di: Cozzuolo, San Giacomo di Veglia, Revine e Tarzo.

Gli Ebrei si fecero rinnovare le convenzioni con Ceneda, le loro attività erano comunque controllate e condizionate dal Sinodo, lo dimostrano le emanazioni vescovili del 1670, 1695, 1721 e 1743. La Chiesa ammetteva l’insediamento di nuove attività commerciali, tollerava la presenza, limitava i riti religiosi, la costruzione di nuove sinagoghe, vietava l’esercizio di cariche pubbliche e l’unione in matrimonio fra Ebrei e Cristiani.

Nel XVII secolo, il Consiglio Civico tento due volte, nel 1631 e nel 1633, di espellere gli Ebrei da Ceneda. Fonti storiche ricordano che una delle famiglie ebree la Conian, rimase in città fino al XVIII secolo continuando con le proprie attività.

Dal 1646 anche gli Ebrei di Ceneda ebbero una sinagoga tra le vie Labbi e via Lorenzo da Ponte e l’accesso avveniva attraverso quest’ultima via. La sinagoga della città assomigliava a quella di Conegliano, ma era di dimensioni maggiori: 10×5,50×5,60 metri. Venne inaugurata nel 1710 nel giorno dello Shavu’oth, sette settimane dopo la Pasqua, giorno importante perché viene festeggiata la Rivelazione Divina.

Nel 1726, con la nomina del Vescovo Benedetto de Luca si inasprirono le restrizioni per la popolazione ebraica, ad esempio non potevano avere servitori e operai cristiani, dovevano chiudersi in casa dopo l’Ave Maria, ecc. Le violazioni andavano da una multa di 25 ducati oppure pene corporali e perfino il carcere. Stabilì che gli Ebrei dovessero abitare in una determinata zona cioè il ghetto.

Nel 1765 vivevano nella Serenissima 4940 Ebrei: 1570 a Venezia, 437 nel padovano, 79 nel coneglianese e 45 a Ceneda.

Nel 1768 gli Ebrei protestarono contro la Serenissima perché quest’ultima gli impediva di commercializzare in spezie e cereali, per loro il mercato più vasto ed importante.

Nel 1776 la Serenissima emanò una circolare, confermando che gli Ebrei non potevano commercializzare in granaglie e contestualmente venne stabilito che non potevano avere negozi al di fuori del ghetto.

Nel XVIII secolo la comunità ebraica si ingrandì, scelsero Ceneda come loro dimora diverse famiglie provenienti dal Friuli e da Verona. Durante il secolo si trasferirono in città una decina di famiglie e formarono un piccolo ghetto, altrimenti detto “biorca”.

Nel 1801 venne istituita anche a Serravalle la “Chevrat Ghemiluth Chassidium” (Fraterna), un luogo dove veniva studiata la Torà. Antecedentemente, gli Ebrei di Ceneda andavano a studiare a Conegliano.

Nel 1818 la Fraterna di Ceneda era organizzata per studiare e comprendere la Torà e gli altri libri sacri.

Nel 1857 la Comunità Ebraica di Ceneda aveva un cimitero israelitico, prima di questa data le salme venivano tumulate in quello di Conegliano. Il cimitero si trovava nell’attuale via Cal de Prade.

Nel 1866 il Comune di Ceneda si unì con Serravalle ed in occasione delle elezioni comunali su 30 consiglieri 2 erano Ebrei: Benedetto Fontanella e Giulio Gentili.

Durante il XX secolo per le vicende storiche che conosciamo, la popolazione ebraica continuò a diminuire fino a scomparire.

Nel 1910 la sinagoga venne chiusa e venne riaperta solo una volta, nel 1949, per un matrimonio.

Nel 1944 Elvira e Ettore Graziani, due Ebrei nativi di Vittorio Veneto, furono deportati nei campi di sterminio in Germania dove morirono.

Nel marzo 1964 tutto l’arredo venne trasferito nel Museo Istrael a Gerusalemme.

A Vittorio Veneto, negli anni 2004-2019 visse Aziadè Gabai che sposò il vittoriese Bruno Cevidalli che sfuggì alla morte nei campi di concentrazione e fu una testimone della Shoah.

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