Chi era Gaia da Camino?

Gaia da Camino era una poetessa, figlia di Gherardo da Camino. I da Camino erano una famiglia discendente dei Longobardi che si insediò nel Trecento nella Marca Trevigiana. Molto probabilmente la madre di Gaia era Chiara dalla Torre, moglie di Gheraldo sposata in seconde nozze. Questa è solo un’ipotesi perché pochi sono i documenti a supporto di tale tesi.

Gaia visse durante il massimo splendore della casata da Camino e molto probabilmente, stancata della vita a corte e Treviso decise di recarsi nel piccolo Borgo di Portobuffolè durante la giovinezza.

Si sposò fra la fine degli anni Ottanta ed i primi anni Novanta del Duecento con suo cugino Tolberto dei Caminesi; cospicua fu la dote che il padre concesse per il suo matrimonio.

L’11 luglio 1301 acquistò dai fratelli Patriarca, Albertone e Areta, per 500 lire alcuni mulini situati sul fiume Sile presso la porta di San Martino.

Nel 1302 fu nominata erede universale da una certa Frixa, nobildonna di origine forse trevigiana.

Il 28 luglio 1309 il doge Pietro Gradenigo inviò a Gaia da Camino e a suo marito Tolberto una lettera per ringraziarli della sollecitudine e dell’energica fermezza da essi dimostrata nel proteggere le terre e le case del vescovato di Cittanuova, territorio di dominio veneziano, dalle incursioni e dai saccheggi di alcune bande di malfattori e di briganti.

L’ultimo documento a noi noto relativo a Gaia da Camino è il testamento da lei dettato il 14 agosto 1311 alla presenza del notaio Romano di Santo Stefano nel castello di Portobuffolé, dove lei giaceva gravemente inferma, assistita dal marito e da un “Petro physico de Prata“, un medico originario di Prata di Pordenone. Gaia da Camino morì pochi giorni dopo la stesura del testamento e venne sepolta nella chiesa di San Nicolò a Treviso insieme alla figlia Chiara.

Dante Alighieri nel Purgatorio (Canto XVI versi 139-141) scrisse queste parole in merito a Gaia Da Camino:

“Per altro sopranome io nol conosco,/s’io nol togliessi da sua figlia Gaia./Dio sia con voi, ché più non vegno vosco.”