Storia Moriago della Battaglia2020-03-26T11:30:33+01:00

Storia di Moriago della Battaglia

I primi rilevamenti della presenza dell’uomo nel Quartier del Piave risalgono al Paleolitico.

Nel 1935 a Moriago della Battaglia furono rinvenute sette tombe romane con completo arredo funebre databile tra il II ed il III secolo d.C.; un’altra tomba venne alla luce durante lo scavo per la costruzione del nuovo campanile.

I centri abitati conservano la caratteristica struttura romana: un abitato raccolto entro un recinto, al quale fa da perimetro una strada carrabile. Nel XIII secolo i vari signori, impotenti di fronte alle pressioni del Comune di Treviso che andava sempre più affermandosi nella Marca, rinunciarono ai diritti feudali di sovranità a favore del Comune, pur di ottenere la cittadinanza di Treviso e di poter quindi partecipare alla vita comunale.

Nel periodo delle invasioni barbariche, durante il Medioevo, la popolazione era situata in quattro zone considerate più sicure: a nord dell’attuale chiesa di Moriago della Battaglia, oltre il Rosper; al limite dei Palù a est di Mosnigo; nel recinto fortificato dello scomparso villaggio di Nosledo e vicino alla scarpata d’accesso alle Grave. Finite le invasioni, ci fu un ritorno ai nuclei del periodo romano ed una feudalizzazione del territorio.

Nel basso Medioevo ci fu una vasta opera di bonifica grazie all’opera dei monaci dell’Abbazia di Santa Bona a Vidor. Il Comune di Moriago, con la frazione di Mosnigo e la località Nosledo, fino al 1797 fu un’appendice del Comune di Vidor. Da quell’anno al 1805 assieme a Vidor fece parte del distretto di Treviso. Divenne comune nel 1807 con Mosnigo, ma perse di nuovo l’autonomia tre anni dopo quando fu aggregato nuovamente alla municipalità di Vidor che all’epoca era un Cantone di Valdobbiadene. Ritornò autonomo nel 1819.

Il nome Moriago divenne “Moriago della Battaglia” con decreto presidenziale del 1962 quale riconoscimento per la memorabile impresa del 27 ottobre 1918 che fu premessa per la vittoria di Vittorio Veneto. Fu all’alba di quel giorno che i primi reparti d’assalto del XXIII Corpo d’Armata del generale Vaccari, passato il Piave in piena e posto il Comando a Molino Manente, sorpresero e travolsero il nemico. Il luogo ove avvenne il cruento impatto, si chiama “Isola dei Morti”. Nei secoli scorsi anche Moriago della Battaglia fu colpito da calamità.

La peste del 1629 e 1631, descritta dal Manzoni nei “Promessi Sposi“, colpì anche il Veneto. Moriago fu decimata: i cadaveri furono sepolti negli orti e presso una chiesuola campestre dedicata a San Marco, scomparsa nei secoli.

Fino al 1880 esisteva in quel luogo un capitello che recava dipinte figure di appestati. A quel tragico avvenimento si ricollega anche un altro capitello a volta, sostenuto da due piccole colonne, eretto prima del 1631 sulla parete nord di casa Zancanaro. Vi era appeso un quadro della Vergine che i fedeli veneravano con singolare pietà perché, la tradizione, ricordava che la peste non aveva mietuto vittime nel territorio oltre il capitello.

Il colera del 1885 era testimoniato da un capitello in Via Roma nella cui nicchia interna era stata posta una statua in legno della Vergine dei Sette Dolori. Fatto erigere in quell’anno da certo Antonio Adami – Fiorin, il capitello fu demolito nel 1961 a causa dell’allargamento della strada. In suo luogo si vede oggi un’edicola in marmo con una statua lignea dell’Addolorata. Il grande esodo dell’emigrazione si verificò soprattutto negli anni Ottanta-Novanta dell’800. Le prime partenze si ebbero nel 1888 e poi nel 1896 quando molti partirono verso l’America del Sud per andare a dissodare terre vergini e conquistarsi una piccola proprietà.

Il Brasile pagava il viaggio agli emigranti e concedeva loro un appezzamento di terra in proprietà, purché disboscassero la foresta e la riducessero a terreno agricolo. Gli emigranti veneti si stabilirono per lo più negli stati del Rio Grande do Sul ove diedero vita ad una serie di piccole colonie: Nuova Bassano, Nuova Treviso… Le cause vengono fatte risalire ai cattivi raccolti e alla grave crisi agraria che colpì l’Italia negli anni Ottanta dell’800, che fu particolarmente violenta per via dell’arretratezza dell’agricoltura, delle trasformazioni capitalistiche in atto nelle campagne e dell’inadeguatezza delle misure prese per fronteggiarla (protezionismo).

L’emigrazione per certi contadini di montagna, o di zone depresse come Moriago, era quasi una prassi. Avveniva soprattutto in primavera ed in estate e riguardava i giovani maschi in età lavorativa che partivano per la Francia, la Svizzera ed il Belgio. Ritornavano durante l’inverno portando a casa i soldi che permettevano alla famiglia di sopravvivere. Se a spostarsi era l’intera famiglia la scelta di permanenza all’estero diventava una necessità.

Il fenomeno si arrestò con l’avvento della Prima Guerra Mondiale, per continuare nel periodo tra le due guerre. Contadini e mezzadri ripresero la via dell’emigrazione verso l’Europa, con la valigia di cartone e, talvolta, qualche indirizzo dato da chi era già stato all’estero ed agevolava la partenza dei compaesani.

Oltre all’emigrazione volta a trovare lavoro comparve il fenomeno del “fuoriscitismo”, persone antifasciste che per non rischiare la prigione o la vita stessa erano costrette a riparare all’estero. Con il fascismo s’ingrossarono le grandi proprietà terriere e i più poveri diventarono mezzadri e fittavoli disposti a trasferirsi anche lontano per poter vivere (Agro Pontino e Sardegna).

Dopo la Seconda Guerra Mondiale e fino agli anni Sessanta l’emigrazione continuò spopolando il Quartier del Piave. A memoria di questo triste fenomeno nel 1990 è stato inaugurato un monumento in bronzo dedicato alla “donna emigrante”.

Come in altre zone dell’Italia e del Veneto i nuovi bisogni delle famiglie che si stavano formando nel dopoguerra diedero vita ad attività artigianali ed industriali che portarono sviluppo e benessere nel territorio.

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