La storia

Nel 1928, il 26 febbraio, a Moriago accadde un fatto drammatico che causò la morte di 35 persone quasi tutte giovani e che occupò per giorni l’intera stampa nazionale: l’incendio del cinema.

La famiglia Braga di Oderzo dava spettacolo cinematografico in uno stanzone al primo piano del palazzo Battaglia, in pieno centro del paese. Le finestre che davano verso la strada erano protette da forti inferriate mentre le finestre poste sul cortile centrale erano libere da ostacoli. È da ricordare che Fausto Braga, coadiuvato dal figlio Pirro, non aveva ricevuto necessarie ed obbligatorie autorizzazioni e la sala non era a norma di sicurezza per lo svolgimento della serata. Fu così che in quella sera e in quel posto si ritrovarono oltre 150 persone. Verso le 21.30, appena iniziata la seconda parte del programma, che comprendeva la proiezione di un filmato, la pellicola si ruppe e scoppiò un incendio. La folla che era agitata si accalcò vero le finestre chiuse e verso la porta, che pare fu chiusa per evitare l’accesso ad altre persone. Fu così che per cercare scampo, alcune persone si gettarono dalle finestre senza inferriate, altre riuscirono ad utilizzare la porta che nel frattempo era stata aperta dall’esterno da Ulisse Sernaglia. Purtroppo con tanta gente ancora all’interno il parapetto della scala cedette e un gran numero di persone caddero aggrovigliandosi le une alle altre morendo soffocate dal fumo prodotto dalla pellicola. Altre, circa una quarantina, furono salvate da Guglielmo Testa che arrampicato su una scala, divelse una inferriata dalle finestre creando così una via di fuga per gli spettatori. I funerali riuscirono imponenti dato che la celebrazione funebre, svoltasi a Moriago, fu celebrata nella piazza antistante la chiesa per riuscire a contenere le oltre diecimila persone convenute alla mesta cerimonia. Il rito funebre, presieduto dal Vescovo diocesano Mons. Eugenio Beccegato, fu toccante.

Queste le parole del presule: “Non son venuto qui per parlare, ma per piangere per voi! Poveri figli di Sernaglia, di Moriago, di Fontigo e di Mosnigo; poveri figli miei colpiti da una sciagura che non si sa esprimere a parole. Sono qui a piangere per i figli vostri stroncati da una morte terrificante, tragica, indescrivibile. Questo suolo che ha visto cadere tante salme di giovani soldati durante la guerra, onorate in quel monumento che si chiama l’Isola dei Morti, è stato teatro di un disastro senza precedenti. Ma perché, o Signore, avete permesso questo? […] Quando il dolore ci opprime così fortemente, anche il povero Vescovo si chiude, in uno strazio intensissimo. Foste morti almeno nella vostra casa, nel vostro letto, col soccorso dei vostri cari, abbracciati e confortati dalle carezze del babbo e della mamma, del fratello e della sorella. Siete usciti una domenica sera dalle vostre case, magari senza darvi un saluto per un lecito divertimento, così raro in questi figli del Piave. Non ritornaste più! Ossia, alcuni ritornarono, ma morti. I parenti si sono portati via i cadaveri: peso dolce, ma nel tempo istesso opprimente, soffocante. I fratelli, nello spasimo dell’istinto di conservazione han soffocato i fratelli. Mio Dio, quale spettacolo, quale strazio! Ma non siete senza onore!”.

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