Nel maggio 1915 il Regno d’Italia entrò in guerra contro l’Impero Austro-Ungarico e gli imperi centrali. Non erano passati neanche cinquanta anni dall’Unità d’Italia che la Nazione si ritrovò nuovamente in guerra.

Dopo la disfatta di Caporetto dell’ottobre 1917, l’esercito austro-ungarico invase i territori italiani fino al fiume Piave.

Storia della Prima Guerra Mondiale a Tarzo

L’esercito avversario impiegò circa venti giorni per arrivare al Piave, in quelle giornate chi poté si rifugiò oltre il fiume che sarebbe diventato il nuovo fronte di guerra.

Il 6 novembre, vennero fatti saltare i ponti sia a Susegana sia a Vidor per evitare il dilagare dei nemici nella Destra Piave e poi nella pianura padana. Se l’operazione era inevitabile a livello strategico, originò una separazione netta per tanti civili. Molte furono le persone infatti, che pur di non abbandonare il poco che avevano, decisero di rimanere nei territori della Sinistra Piave pur capendo che avrebbero dovuto convivere con il nemico.

L’inverno 1917, fu particolarmente piovoso e freddo e questo complicò ulteriormente le condizioni di vita anche degli abitanti di Tarzo e di tutta la zona. Oltre al quadro atmosferico le persone avevano paura di non sopravvivere all’invasione. Gli Italiani cominciarono anche a domandarsi se la guerra fosse necessaria, se fosse il caso di continuarla o concluderla il prima possibile visti gli enormi sacrifici umani, economici e sociali già vissuti e ancora da patire.

Nel pomeriggio del 9 novembre il comando dell’intero Corpo d’Armata austro-ungarico comparì in paese, la mattina successiva tre soldati a cavallo iniziarono le perlustrazioni verso Resera.

L’allora parroco di Tarzo con un piccolo gruppo di uomini si presentò al Generale Austroungarico portando con sé la bandiera bianca dichiarando la sottomissione ed invocando clemenza. Le fonti dell’epoca riportano come il militare non se ne preoccupò minimamente, tant’è che non attese neanche la traduzione dall’italiano al tedesco. Per lui la questione non era rilevante.

Per due giorni e due notti, sfilarono reparti con diverse divise ed armamenti. Vennero requisiti: gli animali da cortile, i cereali come il frumento, i prodotti caseari, ecc. Tutte queste riserve finirono nelle cucine dell’artiglieria e della fanteria nemica.

I più piccoli ed i ragazzi incuriositi osservarono tutto questo con attenzione, non era mai capitato di vedere così tanto movimento in paese e sentire una parlata diversa da quella locale con una cadenza gutturale.

Gli adulti erano sempre più preoccupati per l’evolversi della situazione che peggiorava ogni giorno.

Secondo alcune fonti dell’epoca, la vera invasione dell’esercito nemico avvenne l’11 novembre, giorno di San Martino, quando durante la sera si videro avanzare dalle strade di Piadera e Piai diverse colonne di truppe. Erano questi dei reparti di ricognitori austro-ungarici che dovevano arrivare il prima possibile sulla linea del fronte, per poterla studiare e successivamente illustrare ai loro superiori. La loro azione era fondamentale per decidere le manovre militari da compiere una volta iniziata la battaglia.

Fu da quel momento che diversi abitanti di Tarzo dovettero lasciare le loro camere migliori ai soldati e rifugiarsi nei granai e fienili o in altri locali d’emergenza.

A Mons. Luigi Paneghetti, parroco del paese, gli Austroungarici offrirono la possibilità di diventare Sindaco di Tarzo, oltre a mantenere il suo ruolo religioso. Il prelato rifiutò perché la carica non rientrava nella sua missione.

Il patrimonio delle chiese, quali candelabri, tessuti, paramenti vennero risparmiati dai saccheggi nemici. Tarzo divenne sede del Comando di Divisione e quindi i soldati, per timore dei propri comandanti, non compirono atti inconsulti come invece capitò in altri paesi del circondario.

Diversi furono le truppe che sostarono di notte nell’abitato di Tarzo fino al 12 dicembre. Ogni nuovo arrivo vedeva sempre le stesse scene: soldati che sfondavano porte, requisivano cibo, vestiti, fieno per i loro cavalli, ecc.

In pochissimo tempo finirono tutte le scorte alimentari che la popolazione locale aveva conservato per l’inverno. Cominciò un periodo di fame, di vessazioni e di patimenti che durò fino alla fine della Prima Guerra Mondiale.

Sul fiume Piave la situazione peggiorava progressivamente, la popolazione che abitava nei Comuni in prima linea come Sernaglia della Battaglia, Moriago della Battaglia, Vidor, Valdobbiadene, venne mandata nelle retrovie, come intimato dalle autorità militari.

Il 14 novembre verso le ore 18.00, giunsero a Tarzo, sfiniti ed intirizziti, alcuni abitanti del Quartiere del Piave, furono ammucchiati per quella notte sotto la Loggia e presso i porticati retrostanti del palazzo Bettoni.

Con il passare del tempo le difficoltà diventarono sempre più ingenti e difficili da gestire.

Si pensi che il 6 dicembre, giorno di San Nicolò, un ordine del comando affisso ai muri di alcuni edifici pubblici impose la consegna di tutto il grano e di tutti gli animali disponibili in casa. Ogni soldato germanico, per conto proprio, poteva spedire alla propria famiglia 25 kg di viveri, 80 kg di merci e 20 kg di tessuti, tutti beni requisiti alla popolazione locale.

Durante la Festa dell’Epifania, il 6 gennaio 1918, i soldati nemici requisirono le campane maggiori. Tutto questo avvenne quando i Tarzesi uscirono dalla Messa. La campana più grande cadendo rimase intatta e vista l’impossibilità di asportarla, gli Austro-Ungarici pretesero che alcuni paesani la spaccassero a colpi di mazza. Le altre campane furono prelevate fra luglio ed ottobre del medesimo anno.

Nel maggio del 1918 don Giuseppe Faè per aiutare i suoi parrocchiani ma soprattutto il loro morale, diede inizio ad uno scambio di lettere e messaggi fra i Tarzesi che si erano rifugiati sulla Destra Piave e quelli rimasti in paese. Per questa attività venne nominato, finita la Grande Guerra, Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia.

Il rapporto fra occupato ed occupante peggiorò a ridosso della battaglia del solstizio nel 1918. Questa operazione che doveva permettere agli invasori di superare il Piave fallì e l’atteggiamento dell’esercito austro-ungarico divenne più repressivo nei confronti dei locali.

Il Veneto vide distrutte 9764 campane per un peso stimato di circa 40.000 quintali.

A Tarzo le campane furono ricostruite fondendo cannoni ed altro materiale bellico tolto al nemico. L’operazione inversa a quello che era successo nell’anno dell’occupazione. Una volta installate, vennero consacrate nel febbraio 1922 dal Vescovo Beccegato in una solenne cerimonia.

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