Storia di Gaiarine

Il nome Gaiarine si ricollega al termine longobardo Gahagi, che significa pressapoco bosco chiuso.
Francenigo, invece, sembra la fusione di un termine di origine transalpina, che significa all’incirca “terre di proprietà di Francinius“.
La frazione di Albina deve il suo nome al torrente Albinella, che la attraversa, mentre Campomolino, alla presenza dei numerosi mulini (tre quelli superstiti) che sfruttavano le acque del fiume Resteggia.

Tracce di insediamenti abitativi in zona, risalgono probabilmente all’età neolitica. Sempre a quest’epoca risalgono anche altri particolari resti: le Mutere, forse tumuli tombali. Quella più visibile ed interessante è situata a Campomolino presso l’Azienda Agricola Candiani, mentre l’altra sorge a Francenigo, vicino alle sponde della Livenza.
Durante l’età romana il territorio gaiarinese faceva parte dell’Agro di Oderzo

Dalla Caduta dell’Impero Romano al Trecento

In seguito alle invasioni barbariche che segnarono il declino dell’impero romano, il comprensorio gaiarinese fu controllato dal ducato longobardo di Ceneda.  Proprio i vescovi cenedesi concessero come beneficio ai loro avvocati, i Conti di Prata, il controllo inizialmente sull’antica pieve di Francenigo, arrivarono ad includere nel 1203 tutto l’attuale territorio comunale, includendo l’abitato di Roverbasso.

I possedimenti gaiarinesi fecero parte dal 1214 del feudo dei Conti di Brugnera, discendenti dei nobili di Prata.

Dal Trecento al Settecento

Gaiarine, sul finire del Trecento, venne inglobata all’interno della Repubblica di Venezia.
Il centro, a cui erano annessi Roverbasso e San Giovanni di Livenza, entrò a far parte della Patria del Friuli, sempre sotto la potestà dei Conti di Porcia e Brugnera.
Oltre all’antica chiesa San Tiziano a Francenigo, centro non solo spirituale ma anche commerciale, a partire dalla fine del Quattrocento cominciarono a costituirsi anche le parrocchie degli altri villaggi: nel 1456 quella di Gaiarine, intorno al 1512 quella di Albina e agli inizi del Seicento quella di Campomolino.
Nel Cinquecento, il controllo sul territorio da parte di nobili veneziani e di terraferma fu piuttosto importante: gli Altan di San Vito erano riusciti a stappare ai di Prata il feudo di Campomolino, i Porcia possedevano vasti possedimenti a Gaiarine e Francenigo. La Serenissima impose, durante il XVI secolo,  a tutto il territorio padano sotto il suo controllo la trasformazione dei terreni incolti e boschivi in terreni coltivabili, per far fronte al maggiorato fabbisogno alimentare causato dall’incremento demografico.

Il successivo tracollo finanziario della Repubblica diede il la allo smembramento delle proprietà demaniali, che vennero inglobate nei patrimoni delle famiglie nobili (Cellini e Tiepolo) e della borghesia locale (Pera, Segato, Amalteo), che traevano ricchezze e potere dal settore agricolo.

Di conseguenza, nel XVIII secolo, il paesaggio venne stravolto da disboscamenti e bonifiche. Lungo il corso della Resteggia, a Campomolino, furono edificati i mulini Santuz (già esistente ed in seguito ampliato), Ambruzzi e Zerio. A Francenigo i mulini sorsero sulle sponde del torrente Aralt, come il mulino Piovesana nei Palù ed altri due nei pressi dell’attuale centro cittadino.
La prosperità di queste facoltose famiglie terriere portò ad erigere numerose ville venete.
A Campomolino i primi ad edificare una dimora gentilizia furono i Conti da Prata, anche se la palazzina fu poi modificata nel corso del Settecento, quando divenne casino di caccia dei nobili Altan di San Vito al Tagliamento.

Fino all’ Unità d’Italia

Ma durante tutto il Settecento, sempre a Gaiarine, il nuovo ceto dirigente composto di avvocati, notai e proprietari terrieri, avvia la costruzione di ben quattro ville: Cappellari, Borlini-Cicogna (divenuto municipio il 3 luglio 1871), Pera (circondata da un pregevole parco) e Segato (circondata da alte mura di cinta e intorno alla quale si possono individuare parte dei terreni annessi al complesso residenziale).
Ma neppure a Francenigo e ad Albina si sfuggì a questa prassi: i Piovesana, i più grandi possidenti francenighesi, vollero innalzare, di fronte all’antica chiesa di San Silvestro Papa, una lunga costruzione, con decorazioni in pierta, dietro alla quale ancora si estende un vasto conglomerato di campi risalente a quell’epoca. I Carli, ad Albina, già sul finire del Seicento fecero costruire un palazzo nei pressi della chiesa, che poi, all’estinguersi della famiglia, venne ceduto alla parrocchia.
Intorno a questi edifici padronali, sorgevano pochi edifici sparsi nella vasta campagna: di solito lunghi casoni in muratura, con tetti di coppi e paglia. Alcuni di questi si possono ancora ammirare ad Albina.
Dopo la caduta della Repubblica Veneziana, il nuovo dominatore asburgico realizzò la strada che conduceva da Portobuffolè a Sacile ed eresse un ponte sul Livenza tra Francenigo e San Giovanni di Livenza.

Il Novecento

Con l’Unità d’Italia, Gaiarine fu inglobata nella provincia di Treviso.
Nel secolo seguente, la Prima e la Seconda Guerra Mondiale segnarono duramente anche il territorio di Gaiarine e la disperazione e la povertà che si lasciarono alle spalle costrinsero numerosi locali ad abbandonare la propria terra ed emigrare, in cerca di fortuna nelle Americhe, nel nord Europa e in Australia.
Ma già intorno agli anni Venti del secolo scorso, col sorgere delle prime industrie (come la filanda Piovesana a o il mobilificio Jesse a Francenigo) si avvertirono i primi segnali di rinascita: piccoli centri artigianali che negli anni Sessanta e Settanta si svilupparono e diedero vita a quell’industria del legno per cui Gaiarine è nota in tutta Italia.

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