Storia di Portobuffolè

I Paleoveneti furono i primi abitanti del territorio in cui oggi si estende Portobuffolè. Questa popolazione nomade proveniente dall’Asia Minore si era stanziata nell’Italia nordorientale dopo la metà del II millennio a.C. dando cosi origine ad una propria civiltà di pescatori, agricoltori e pastori. Dopo che nel 201 a.C. i Romani conquistarono il sito, esso venne denominato “Septimum de Liquentia“. Septimum deriva dal fatto d’essere posto a circa 7 miglia di distanza dalla più prossima e maggiore città di Oderzo e de Liquentia perché adagiato sulla sponda sinistra della Livenza, fiume che contribuì a rendere il paese un porto fluviale di notevole rilevanza.

Nel 908 l’Imperatore Berengario, su preghiera della moglie Bersilia, concesse Settimo sul Livenza al Vescovo di Ceneda Ripalto.

Già prima dell’anno Mille venne eretto un castello dalle imponenti mura e torri e dalla larga fossa, cosicchè gli abitanti di Settimo si trasferirono all’interno del piccolo ma forte castello e nei sobborghi presso le mura merlate per godere di una maggiore sicurezza in quell’epoca di continue guerre e bellicosi litigi tra vicini feudatari. Il castello, del quale tutt’oggi esiste viva testimonianza, era costituito da sette torri unite con delle alte mura che lo cerchiavano e, a completamento della sua fortificazione, tutto attorno esisteva una grande e larga fossa formata dalle acque del Livenza.

Non si hanno notizie sull’anno di costruzione di tale castello, ma la sua esistenza è attestata grazie al contratto d’affitto stipulato nel 997 tra il Vescovo di Ceneda e il Doge di Venezia Pietro Orseolo II. È proprio in tale documento che appare per la prima volta il termine castello “castro et portu in loco Septimo” ovvero Castello e Porto in luogo Settimo.

Nel corso del XII secolo la nomenclatura di Septimo fu sostituita da Portus Bufaledi, da “bova”, latino medievale che significa canale, da cui deriverà il nome attuale.

Nel 1166 Portobuffolè passò in mano a Treviso, ma ritornò a Ceneda nel 1242 e nel 1283 i Trevisani  indussero Gerardo de Castelli a distruggere per disprezzo fino alle fondamenta il Castello di Portobuffolè. Egli fu così scomunicato dal Vescovo di Ceneda che ricostruì il Castello.

Nel 1293 Tolberto da Camino e la sposa Gaia fecero di Portobuffolè la loro residenza ufficiale e nel 1307 vennero proclamati Signori della Città di Portobuffolè.

Nel 1339 Portobuffolè passò alla Serenissima Repubblica di Venezia con decreto del Senato Veneto e con delibera del Maggior Consiglio di Treviso. Le furono concessi i titoli di Podesteria e di Città, ottenendo nuovi Organi di Governo, quali il Consiglio Civico, il Consiglio Popolare e l’Ordine dei Nobili.

Fu questo un lungo periodo di splendore e ricchezza per Portobuffolè la cui vita economica e commerciale era strettamente legata all’attività bancaria, infatti nel 1452, giunsero a risiedervi banchieri, commercianti, avvocati, notai, medici e una piccola comunità ebraica, la quale diede vita, all’interno del Castello, ad una Sinagoga, oggi il Duomo di Portobuffolè.

Nel 1480 alcuni ebrei di Portobuffolè furono erroneamente e tragicamente condannati a morte per infanticidio e da quel momento la comunità ebraica fu bandita dalla città, che perse così una componente fondamentale delle sue radici.

Con la dominazione francese avvenuta nel 1797, Portobuffolè fu dotata di un Tribunale civile e criminale di prima istanza e la sua funzione giudiziale fu estesa anche alle zone adiacenti.

Con il Trattato di Campoformido, il Veneto fu ceduto all’Austria e iniziò così per Portobuffolè un periodo di triste declino: la città perse la sede municipale, dal 1816 al 1826 fu annessa al Comune di Brugnera, il commercio fluviale su soppiantato da quello su strada e il porto fu progressivamente smantellato.

Il 15 luglio 1866, tra l’entusiasmo popolare, entrò nella cittadina il primo drappello appartenente al nuovo Regno d’Italia, in questo periodo di Guerre d’indipendenza Portobuffolè finalmente ritornò alla territorialità italiana e alla sua autonomia comunale.

Durante la Prima e la Seconda Guerra Mondiale la cittadina soffrì numerosi lutti e nel dopo guerra riuscì dignitosamente a sopportare la crisi economica e l’emigrazione.

Pian piano il paese si risollevò e ben presto, grazie all’intelligenza e la tenace volontà che contraddistingue i suoi abitanti, divenne la patria del mobile.

L’abbondanza d’acqua che caratterizza Portobuffolè, accompagnata dalla falda freatica poco profonda e dalla presenza di sacche di terreno, ha sempre costituito una calamità per il territorio comunale  che è stato sommerso nel 1965/1966 da due alluvioni.

Per tali ragioni il corso della Livenza fu deviato eliminando l’ansa che circondava il centro storico, restringendo così gli allagamenti dei periodi di piena alla sola zona del Pra’ dei Gai, unico prato stabile superstite del Veneto.

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